lunedì 7 ottobre 2013

LA CULTURA DEL CORRIERE - Funaro, politica e mala giustizia

Non si poteva rendere con un titolo migliore (Mala Iustitia- Colpevoli d’innocenza- Spazio Creativo Edizioni), due efficaci ossimori, il tema trattato nell’ultimo libro del giornalista partenopeo Pietro Funaro. Autore questa volta di una semi autobiografia, di un percorso a ritroso nella propria drammatica vicenda giudiziaria che mette in evidenza le falle e le incongruenze di un certo tipo di magistratura avvezza, forse per contaminazioni politiche, a facili imputazioni soprattutto quelle relative all’inflazionato concorso esterno in associazione mafiosa che ormai come ha affermato lo stesso Procuratore Generale della Corte di Cassazione Francesco Iacoviello “è diventato un reato autonomo a cui non crede più nessuno”. Ci sono state troppe vittime di questo “virus giudiziario” creato quasi a tavolino che ha rovinato la reputazione di uomini politici come Giuliano Pisapia ed Emanuele Macaluso. Uno strumento malefico in mano ad una spregiudicata magistratura, un reato che non convince più considerato che la quasi totalità degli accusati è stata definitivamente assolta. Ma il ricordo rimane come il dolore per le vessazioni subite, quelle non si possono cancellare, si porteranno sempre dentro. E allora non resta che la scrittura quasi strumento catartico per aiutarti a liberare da questo peso angoscioso, per il desiderio di far conoscere a tutti la verità e per poter cominciare nuovamente a vivere. La testimonianza di Funaro mette alla luce come ha ben evidenziato nella prefazione l’editore-direttore de “Il Denaro” Alfonso Ruffo, un cancro maligno annidato in quello che dovrebbe essere il baluardo della giustizia, un male oscuro che non alimenta la fiducia dei cittadini nel diritto e che in passato ha messo sotto tortura troppe persone che hanno perso la reputazione, l’affetto dei propri cari, il lavoro senza contare la salute e gli anni andati via dietro annosi e pericolosi processi. Ma “la ricerca della verità-aggiunge il giornalista- e il compito delicato di espellere dalla società i soggetti che non ne rispettano i fondamenti sono obiettivi sensibili e irrinunciabili la cui centralità non può essere messa in discussione per la leggerezza, il capriccio o la voglia di protagonismo di alcuni. La Giustizia è una cosa troppo seria e non dovrebbe mai somigliare a una partita a dadi”. E’ vissuto per anni nell’incubo Pietro Funaro come i tanti amministratori e politici di cui descrive le vicissitudini nel suo libro, conosce bene quel particolare stato d’animo che ti isola dal resto del mondo, che ti fa sentire impotente, con grande coraggio e forza interiore ha voluto regalarci queste belle anche se crude pagine di storia giudiziaria del nostro paese. “Riportare la mia storia personale non è stato facile … ma ho sentito doveroso offrire a chi legge anche la mia direttissima testimonianza dei disastri che una cattiva gestione della Giustizia e l’abuso di certi poteri possono provocare … con la speranza di credere che, prima o poi, prima di mandare al rogo chiunque, ci si ricordi che dietro un nome c’è una persona con i suoi valori, con la sua identità …”. Nel suo libro, scritto col piglio di chi gli eventi e le leggi le ha studiate bene, Pietro Funaro analizza in dettaglio che cos’è il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, definito da più parti un reato non reato perché non esattamente contemplato nel codice penale ma nato dall’accorpamento tra gli articoli 110 e 416-bis per un’esigenza pratica della magistratura che necessitava di una nuova figura giuridica in grado di reprimere le eventuali condotte di fiancheggiamento, collusione e contiguità con organizzazioni malavitose. Il punto è che la stessa magistratura non si orienta bene nell’utilizzo di questo strumento tanto da dare adito a numerose diatribe tra esperti sugli ambiti e i limiti della sua applicabilità. Lontano dal voler assolvere tout court la politica da ogni forma di corruzione ma allo stesso tempo critico nei confronti di una magistratura di parte, il giornalista, dati alla mano e con l’ausilio di attendibili pareri di studiosi della dottrina giuridica afferma in merito al reato di concorso: “Va da sé che tutto ciò determini la possibilità di una notevole discrezionalità valutativa da parte dei giudici che si trovano “costretti” a decifrare dei comportamenti e a inserirli entro fattispecie penali astratte. Il problema sorge quando di questo strumento di discrezionalità, che all’occorrenza diventa strumento di potere, se ne fa un uso cattivo o addirittura un abuso”. Ampio spazio è dato nel volume alle vicende giudiziarie di alcuni protagonisti in passato della nostra scena politica, balzati agli onori della cronaca proprio perché presi di mira da magistrati con deduzioni e associazioni farraginose non sempre dimostrabili. I casi più eclatanti?Quelli di Antonio Gava, Carmelo Conte, Calogero Mannino, Carmine Mensorio e Felice Di Giovanni, i cui travagli nelle aule del tribunale sono riportati fedelmente nel libro-dossier di Funaro. Chi non conosce la storia dell’ex leader della Democrazia Cristiana, il vicerè di Napoli che da un giorno all’altro si è trovato invischiato in un processo estenuante con l’accusa di associazione camorristica, un calvario durato ben tredici anni e conclusosi con un risarcimento di soli e risibili centoquarantamila euro e una sentenza giunta quasi al tramonto di una vita segnata da numerosi problemi di salute causati proprio da accuse infamanti, con cui è difficile convivere con serenità. Altrettanto note le vicende di Carmelo Conte, esponente di spicco del socialismo nei suoi tempi d’oro, legato negli anni novanta anche a diverse progettualità e vivaci scontri dialettici col partito di maggioranza all’interno della provincia di Avellino. Dopo iniziali pesanti accuse di collusione con un clan di Eboli fu dichiarata la sua estraneità alla vicenda e alla fine assolto con formula piena. Stesso destino per Calogero Mannino, a capo della democrazia cristiana siciliana, il suo è stato definito dall’autore stesso “l’esempio di come non deve funzionare il sistema inquisitorio in un paese democratico”. Drammatico il caso di Carmine Mensorio, il medico di Saviano, morto suicida nel 1996 che lasciò scritto ” anche davanti al tribunale di Dio griderò la mia innocenza”.
Le mie prigioni
Non a caso Pietro Funaro ha intitolato così la sezione del libro dedicata a se stesso. Si è sentito vicino al patriota piemontese quando ha messo mano alla parte più difficile del volume, quella che va a toccare i ricordi più dolorosi, le ferite ancora aperte. Era scoppiato lo scandalo Tav, fu tramata alle spalle del noto giornalista una rete che lo avrebbe portato a tre arresti (Poggioreale, Scampia e Secondigliano), a un’odissea durata quattordici anni, a un disagio notevole fisico e mentale, sorretto solo dall’amore della sua famiglia e dalla sua forte fede cattolica. Giorni, settimane difficili quelle trascorse nei peggiori penitenziari d’Italia dove contrariamente alle aspettative ha incontrato anche tanta solidarietà, la forza necessaria per continuare a lottare e a credere nella giustizia terrena e divina anche quando sei ridotto ad una larva e sei costretto a camminare su una sedia a rotelle. La relazione tecnica psichiatrica del dott. Rosario Persico riportata in allegato è agghiacciante, all’epoca dei fatti le condizioni di salute di Pietro Funaro erano alquanto preoccupanti, il detenuto innocente si presentava in condizioni estreme, dimagrito di oltre venti chili, con disordini motori e neurologici, per non parlare di un forte stato depressivo associato all’onta della detenzione che, se non tenuto sotto controllo poteva condurre all’ideazione suicidaria. 
Tuttora Pietro Funaro paga lo scotto di tanta sofferenza, la sua mente è ancora distrutta e risente di una terapia farmacologica peraltro inadeguata somministrata all’interno dei penitenziari. Un ricordo dell’autore va anche al compianto ed onesto funzionario dell’amministrazione regionale Felice Di Giovanni, coinvolto anche lui ingiustamente nello scandalo Tav. 
Nella disamina dei personaggi che hanno giocato un ruolo determinante all’interno della magistratura, pm a loro volta pedine di un sistema iniquo, spicca senza dubbio la figura di Paolo Mancuso, di recente si è parlato di lui a proposito dell’eventuale nomina a Procuratore di Napoli, candidatura ritirata proprio in extremis a causa di alcune richieste particolari del magistrato emerse da un’intercettazione. 
Il procuratore di Nola, notoriamente toga rossa, non è immune da chiacchiere e maldicenze. Le attività non sempre trasparenti di alcuni operatori della giustizia negli ultimi anni ha dato il la a particolari riflessioni sul potere attuale della magistratura e ha acceso il dibattito tra gli esperti in materia sulla responsabilità civile dei magistrati, più volte toccata di striscio ma mai affrontata del tutto. Una lacuna se vogliamo del nostro sistema giudiziario che non fa che accrescere il malcontento popolare e alimentare la convinzione che in Italia la magistratura viene vista e trattata come una casta intoccabile. 
Perché si chiede Funaro, se sbaglia un giudice il cittadino viene risarcito dallo Stato e non dal singolo soggetto? Purtroppo in Italia funziona così come in molti paesi europei, gli uditori giudiziari per difendere la loro indipendenza e imparzialità godono di immunità e non è possibile agire direttamente contro di loro. Considerata l’inadeguatezza della legge Vassalli, sono stati proposti in Parlamento diversi progetti di legge per introdurre modifiche procedurali ma “nonostante la buona volontà è sotto gli occhi di tutti che appena si affronta il tema, in Italia, si scatena il putiferio”. Gli intenti di Pietro Funaro con il suo “Mala Iustitia” sono chiari come ha ricordato nella bella ed intensa parte finale del testo: “… oggetto di questo libro-indagine, è la disfunzione dell’amministrazione della Giustizia che colpisce la comunità e che provoca sfiducia verso le istituzioni e genera un vero e proprio black out in quello che dovrebbe essere un sano rapporto Stato-cittadini. 
Quindi, con fermezza, possiamo dire che la malagiustizia è la causa dell’ingiustizia”. 
Un libro che apre spunto a profonde riflessioni sullo stato attuale del processo democratico del nostro paese minacciato da poteri forti, un monito per la politica che ha il diritto e il dovere di riconquistare il suo ruolo originario in difesa dei cittadini, perché non si senta più parlare di colpevoli d’innocenza. 
Ricordiamo che Pietro Funaro, giornalista napoletano, attualmente componente del Comitato regionale per la Comunicazione in Campania, vanta ben sei titoli accademici, è editorialista de Il Denaro e in passato ha ricoperto ruoli molto prestigiosi e di responsabilità sia in ambito nazionale che europeo. Tra le sue pubblicazioni, “Quaderni di impegno politico” e il recente “Mani sul terremoto. 
Campania anni Ottanta, l’altra faccia dell’emergenza” in cui ha riportato la sua esperienza nei terribili anni del post-sisma.

Francesca Festa 28/12/12 Corriere dell'Irpinia

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