domenica 13 ottobre 2013

NAPOLI: FUGA DI CERVELLI E MAGLIA NERA PER VIVIBILITA’

Il Dito nell'occhio di Pietro Funaro

Due le notizie su Napoli questa settimana che colpiscono particolarmente, ed ampiamente diffuse dai mass media: il sondaggio della Commissione Ue che assegna al capoluogo partenopeo la maglia nera per la qualità della vita e la fuga dei talenti napoletani dalla città.
L’inchiesta europea è frutto di studi e di raccolta di opinioni di ben 41mila cittadini residenti in 79 città europee cui si sono aggiunte Islanda, Norvegia, Svizzera e Turchia.
La nostra città viene bocciata praticamente su tutta la linea: dall’istruzione, alla sicurezza, alla pulizia e, naturalmente, all’occupazione.
Napoli, insieme a Palermo, sono secondi solo ad Atene nella triste graduatoria stilata a conclusione del corposo rapporto reso nota dai commissari.
Intanto a migliaia i giovani laureati napoletani aspirano a lasciare Partenope e a trasferirsi in altre regioni se non addirittura all’estero con preferenza per l’Inghilterra e la Germania.
Talenti che, preparati dalle nostre Università, cercano un lavoro che la loro terra gli nega.
Del resto non c’è bisogno di studiare statistiche e parametri per sapere che la piaga della disoccupazione giovanile nel nostro Paese ha sforato quota 40 per cento. Ed in questa spaventosa cifra i laureati sono un esercito in attesa di poter entrare nel mondo del lavoro.
Ancor più drammatici sono i dati che riguardano il Mezzogiorno ed, ovviamente, la sua capitale.
A frotte i nostri giovani corrono ad iscriversi agli Atenei nella speranza di un futuro migliore, magari provenienti da famiglie che fanno sacrifici per affrontare le non poche spese per i corsi di studio, ma conseguito il titolo di ingegnere o dottore in questa o quella branca scientifica restano al palo in attesa di un lavoro che non arriva.
“Non c’e’ dignità senza lavoro” ha detto Papa Francesco nella sua recente visita in Sardegna.
Accanto a questo che è diventato un vero e proprio dramma si aggiunge l’invivibilità di una città che potrebbe cambiare il suo nome ed assumere quello di Emergentopoli.
Tutto a Napoli è emergenza: la qualità della vita, la criminalità, i rifiuti tossici che, in massima parte provenienti dal Nord, delinquenti senza scrupoli hanno sotterrato nelle terre dell’hinterland seminando morte e nuove miserie.
E c’è chi ha il coraggio di parlare di rinascita della città !
La responsabilità di tutto questo non può sicuramente essere attribuito ad uno o a pochi ma molti dovrebbero essere quelli che investiti di pubblici poteri comincino ad assumere piena coscienza che non c’è più tempo per le chiacchiere.

mercoledì 9 ottobre 2013

La giustizia è cosa sacra e non ha di mira che il bene altrui.

“Mala Iustitia. Colpevoli d’innocenza.” è il titolo del nuovo libro dato alle stampe dal giornalista Pietro Funaro per Spazio Creativo Edizioni,  presentato ad Avellino oggi presso il Circolo della Stampa. Racconta le vicende giudiziarie sue e di un gruppo di politici della Campania e del Sud coinvolti in processi lunghissimi, chiusi con assoluzione solo molti anni dopo. Un saggio, che inevitabilmente dividerà il pubblico, su tutti i limiti di un sistema giudiziario a volte preventivamente "spietato". 
Ne hanno discusso con l'autore l’On. Giuseppe Gargani, Prof. Avv. Gustavo Pansini, Prof. Avv. Guglielmo Scarlato. A moderare il dibattito Gianni Festa, Presidente Corecom.
«La giustizia - spiega l’autore - è cosa sacra e non ha di mira che il bene altrui, res sacra iustitia alienum bonum spectans. Essa non deve avere nulla a che fare con l’ambizione e non può farsi suggestionare dall’opinione degli altri. Queste sono le parole di Seneca, che per le sue idee rispettose delle libertà civili, rischiò la vita. 
Eh sì! La vita. Vi siete mai chiesti quanto può valere un anno di vita. Cosa si può fare in un anno? Quanti posti si possono vedere? Quante persone conoscere? 
Un anno passato in carcere. Molti politici e pensatori, nelle narrazioni pubbliche, seguono una linea “rottamatrice” per raccontare il nostro futuro, come se fosse un tempo che ha per padri i giovani. Invece voglio proporvi una parola per giovani: “Condividi”, un termine che ormai leggiamo, anzi clicchiamo, quotidianamente. Così recita l’enciclopedia: condividere — avere, mettere in comune con altri. Ecco la vera essenza di questo lavoro: mettere qualcosa di Pietro Funaro, ma che può riguardare qualunque cittadino, a disposizione degli altri. Ogni pagina di questo libro, vuole essere il manifesto di come la giustizia in Italia, ad opera di alcuni giudici, da strumento di difesa dei cittadini è diventata il suo boia, di come ha trasformato innocenti in colpevoli e trascinato i malcapitati in un vero inferno che distrugge la vita».  

Ma c’è una giustizia giusta? Due ore di dibattito tra politici e avvocati sul delicato tema.

AVELLINO- «Questo libro non è stato concepito come un modo per fare il solito pianto greco, quando uno attraversa un problema, ma è una provocazione, un modo per contribuire ad una vera e propria presa di coscienza, non contro qualcuno,ma per qualcosa. Anche perchè quando ci sono tre poteri ed uno di questi sovrasta gli altri, allora nasce una dittatura». Pietro Funaro ha chiuso così il suo intervento alla presentazione del libro autobiografico, ma anche di racconto di storie di errori giudiziari che hanno riguardato potenti rappresentanti della Dc e del Psi nel Mezzogiorno. E a giudicare dalla sala, dal parterre e dai contributi dei relatori, la provocazione è perfettamente riuscita. Anche perchè dopo due ore di confronto tra protagonisti della politica e rappresentanti del mondo dell’Avvocatura, stimolati dalle riflessioni del presidente del Corecom Gianni Festa, la diagnosi che emerge è impietosa e senza appelli: la giustizia in Italia non riscuote più la fiducia dei cittadini. Una malattia, quella per cui ci sono tante diagnosi. E anche una metafora efficace. Quella usata dall’europarlamentare del Ppe Giuseppe Gargani, che paragonando l’equilibrio dei poteri ad un binario, ha evidenziato come la magistratura debba essere disciplinata e debba tornare sul binario che da qualche anno ormai i magistrati sono usciti. Riportare nel binario e in una posizione di equilibrio la magistratura, è dunque alla fine la cura, l’auspicio che arriva dopo un dibattito che prendendo spunto dall’opera di Funaro, ha consentito un vero e proprio focus storico e giuridico sul perchè oggi ci sia una crescente sfiducia nell’operato dei magistrati. E il contributo dei relatori è stato tutto concentrato ad evidenziare, come già aveva fatto Funaro nel sui Mala Iustitia, quelli che sono i sintomi di una malattia che sempre più mina ed altera anche lo stesso sistema democratico. Del resto, come ha spiegato Gargani, che ricorda di occuparsi di giustizia dagli anni 50: «quando una sentenza viene percepita come non credibile, allora si altera il sistema democratico». E ovviamente è una considerazione condivisa, anche dagli altri relatori. Ma ci sono anche i singoli aspetti. Uno di quelli che viene sviscerato con sentenze e riferimenti giuridici da Funaro nel suo libro è senza dubbio il tema del concorso esterno in associazione mafiosa. Su cui consegna una disamina inappuntabile l’ex parlamentare Guglielmo Scarlato, che stigmatizza come in alcuni casi, il volere cercare, come per il reato del concorso esterno «scorciatoie per colpire qualcuno, allargando un perimetro che esce dalla plastica giuridica». Anomalie processuali, ma anche una condizione che di riflesso condiziona anche su altri settori, come quello carcerario. Anche in questo caso è l’analisi di Scarlato ad avere efficacia su come la stessa custodia cautelare e la detenzione in carcere di fatto non siano più compatibili a quanto stabilisce la Costituzione. BBasri pensare a due dati. Quello che due terzi dei detenuti sono ancora in attesa di giudizio e soprattutto che le carceri offendono la dignità delle persone. La politica e i suoi sensi di colpa, c ome li ha definiti Giuseppe Gargani risucirà a trovare un rimedio a questo squilibrio di poteri? Solo una forte presa di coscienza, sociale e politica, potrà far tornare sui binari giusti, quelli dell’equilibrio tra poteri il nostro paese».  

Corriere dell'Irpinia - 08/10/13 - redazione Cronaca

lunedì 7 ottobre 2013

Funaro e le storture della giustizia

E' un'analisi attenta dell'universo giustizia, delle sue storture e contraddizioni quella che consegna Pietro Funaro nel volume "Mala Iustitia-Colpevoli d'innocenza", pubblicato con Spazio Creativo Edizioni. Il volume sarà presentato lunedì 7 ottobre, alle 17, al Circolo della stampa di Avellino. A confrontarsi con l'autore l'on. Giuseppe Gargani, i professori Gustavo Pansini e Guglielmo Scarlato. Modererà Gianni Festa, presidente Corecom. 
Punto di partenza la narrazione della propria drammatica odissea giudiziaria, che si affianca a quella di cui rimasero vittime alcuni protagonisti della vita politica italiana tra fine anni Ottanta ed anni Novanta, “Tutti vessati ed incolpati del reato fantasma - spiega l’ autore - e tutti assolti con formula piena dopo anni di sofferenze e vite distrutte”. Uomini come Antonio Gava, Carmelo Conte, Felice Di Giovanni. Tra i casi più drammatici quello di Carmine Mensorio, il medico di Saviano, morto suicida nel 1996 che lasciò scritto ” anche davanti al tribunale di Dio griderò la mia innocenza”.«Ecco la vera essenza di questo lavoro -spiega l'autore - mettere qualcosa di Pietro Funaro, ma che può riguardare qualunque cittadino, a disposizione degli altri. Ogni pagina di questo libro vuole essere il manifesto di come la giustizia in Italia, ad opera di alcuni giudici, da strumento di difesa dei cittadini è diventata il suo boia, di come ha trasformato innocenti in colpevoli e trascinato i malcapitati in un vero inferno che distrugge la vita…Un’arma – spiega l’autore - usata per lo più da pubblici ministeri politicizzati che hanno sbattuto in galera tantissime personalità, nella quasi totalità poi assolte dalla magistratura giudicante che non si è fatta irretire da assurdi teoremi campati in aria. Riportare la mia storia personale non è stato facile … ma ho sentito doveroso offrire a chi legge anche la mia direttissima testimonianza dei disastri che una cattiva gestione della Giustizia e l’abuso di certi poteri possono provocare … con la speranza di credere che, prima o poi, prima di mandare al rogo chiunque, ci si ricordi che dietro un nome c’è una persona con i suoi valori, con la sua identità ….». Poiché «la disfunzione dell'amministrazione della giustizia che colpisce la comunità e che provoca sfiducia verso le istituzioni - prosegue Funaro - genera un vero e proprio black out in quello che dovrebbe essere un sano rapporto Stato-cittadini». 
L’autore pone l’accento, nel suo 2mala Iustitia”, in particolare sul reato di concorso esterno in associazione mafiosa “divenuto un reato autonomo a cui non crede più nessuno” come ha affermato il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, Francesco Iacovello, utilizzato solo per stroncare carriere e isolare uomini. 

Corriere dell'Irpinia - redazione Cultura - 04/10/2013

LA CULTURA DEL CORRIERE - Funaro, politica e mala giustizia

Non si poteva rendere con un titolo migliore (Mala Iustitia- Colpevoli d’innocenza- Spazio Creativo Edizioni), due efficaci ossimori, il tema trattato nell’ultimo libro del giornalista partenopeo Pietro Funaro. Autore questa volta di una semi autobiografia, di un percorso a ritroso nella propria drammatica vicenda giudiziaria che mette in evidenza le falle e le incongruenze di un certo tipo di magistratura avvezza, forse per contaminazioni politiche, a facili imputazioni soprattutto quelle relative all’inflazionato concorso esterno in associazione mafiosa che ormai come ha affermato lo stesso Procuratore Generale della Corte di Cassazione Francesco Iacoviello “è diventato un reato autonomo a cui non crede più nessuno”. Ci sono state troppe vittime di questo “virus giudiziario” creato quasi a tavolino che ha rovinato la reputazione di uomini politici come Giuliano Pisapia ed Emanuele Macaluso. Uno strumento malefico in mano ad una spregiudicata magistratura, un reato che non convince più considerato che la quasi totalità degli accusati è stata definitivamente assolta. Ma il ricordo rimane come il dolore per le vessazioni subite, quelle non si possono cancellare, si porteranno sempre dentro. E allora non resta che la scrittura quasi strumento catartico per aiutarti a liberare da questo peso angoscioso, per il desiderio di far conoscere a tutti la verità e per poter cominciare nuovamente a vivere. La testimonianza di Funaro mette alla luce come ha ben evidenziato nella prefazione l’editore-direttore de “Il Denaro” Alfonso Ruffo, un cancro maligno annidato in quello che dovrebbe essere il baluardo della giustizia, un male oscuro che non alimenta la fiducia dei cittadini nel diritto e che in passato ha messo sotto tortura troppe persone che hanno perso la reputazione, l’affetto dei propri cari, il lavoro senza contare la salute e gli anni andati via dietro annosi e pericolosi processi. Ma “la ricerca della verità-aggiunge il giornalista- e il compito delicato di espellere dalla società i soggetti che non ne rispettano i fondamenti sono obiettivi sensibili e irrinunciabili la cui centralità non può essere messa in discussione per la leggerezza, il capriccio o la voglia di protagonismo di alcuni. La Giustizia è una cosa troppo seria e non dovrebbe mai somigliare a una partita a dadi”. E’ vissuto per anni nell’incubo Pietro Funaro come i tanti amministratori e politici di cui descrive le vicissitudini nel suo libro, conosce bene quel particolare stato d’animo che ti isola dal resto del mondo, che ti fa sentire impotente, con grande coraggio e forza interiore ha voluto regalarci queste belle anche se crude pagine di storia giudiziaria del nostro paese. “Riportare la mia storia personale non è stato facile … ma ho sentito doveroso offrire a chi legge anche la mia direttissima testimonianza dei disastri che una cattiva gestione della Giustizia e l’abuso di certi poteri possono provocare … con la speranza di credere che, prima o poi, prima di mandare al rogo chiunque, ci si ricordi che dietro un nome c’è una persona con i suoi valori, con la sua identità …”. Nel suo libro, scritto col piglio di chi gli eventi e le leggi le ha studiate bene, Pietro Funaro analizza in dettaglio che cos’è il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, definito da più parti un reato non reato perché non esattamente contemplato nel codice penale ma nato dall’accorpamento tra gli articoli 110 e 416-bis per un’esigenza pratica della magistratura che necessitava di una nuova figura giuridica in grado di reprimere le eventuali condotte di fiancheggiamento, collusione e contiguità con organizzazioni malavitose. Il punto è che la stessa magistratura non si orienta bene nell’utilizzo di questo strumento tanto da dare adito a numerose diatribe tra esperti sugli ambiti e i limiti della sua applicabilità. Lontano dal voler assolvere tout court la politica da ogni forma di corruzione ma allo stesso tempo critico nei confronti di una magistratura di parte, il giornalista, dati alla mano e con l’ausilio di attendibili pareri di studiosi della dottrina giuridica afferma in merito al reato di concorso: “Va da sé che tutto ciò determini la possibilità di una notevole discrezionalità valutativa da parte dei giudici che si trovano “costretti” a decifrare dei comportamenti e a inserirli entro fattispecie penali astratte. Il problema sorge quando di questo strumento di discrezionalità, che all’occorrenza diventa strumento di potere, se ne fa un uso cattivo o addirittura un abuso”. Ampio spazio è dato nel volume alle vicende giudiziarie di alcuni protagonisti in passato della nostra scena politica, balzati agli onori della cronaca proprio perché presi di mira da magistrati con deduzioni e associazioni farraginose non sempre dimostrabili. I casi più eclatanti?Quelli di Antonio Gava, Carmelo Conte, Calogero Mannino, Carmine Mensorio e Felice Di Giovanni, i cui travagli nelle aule del tribunale sono riportati fedelmente nel libro-dossier di Funaro. Chi non conosce la storia dell’ex leader della Democrazia Cristiana, il vicerè di Napoli che da un giorno all’altro si è trovato invischiato in un processo estenuante con l’accusa di associazione camorristica, un calvario durato ben tredici anni e conclusosi con un risarcimento di soli e risibili centoquarantamila euro e una sentenza giunta quasi al tramonto di una vita segnata da numerosi problemi di salute causati proprio da accuse infamanti, con cui è difficile convivere con serenità. Altrettanto note le vicende di Carmelo Conte, esponente di spicco del socialismo nei suoi tempi d’oro, legato negli anni novanta anche a diverse progettualità e vivaci scontri dialettici col partito di maggioranza all’interno della provincia di Avellino. Dopo iniziali pesanti accuse di collusione con un clan di Eboli fu dichiarata la sua estraneità alla vicenda e alla fine assolto con formula piena. Stesso destino per Calogero Mannino, a capo della democrazia cristiana siciliana, il suo è stato definito dall’autore stesso “l’esempio di come non deve funzionare il sistema inquisitorio in un paese democratico”. Drammatico il caso di Carmine Mensorio, il medico di Saviano, morto suicida nel 1996 che lasciò scritto ” anche davanti al tribunale di Dio griderò la mia innocenza”.
Le mie prigioni
Non a caso Pietro Funaro ha intitolato così la sezione del libro dedicata a se stesso. Si è sentito vicino al patriota piemontese quando ha messo mano alla parte più difficile del volume, quella che va a toccare i ricordi più dolorosi, le ferite ancora aperte. Era scoppiato lo scandalo Tav, fu tramata alle spalle del noto giornalista una rete che lo avrebbe portato a tre arresti (Poggioreale, Scampia e Secondigliano), a un’odissea durata quattordici anni, a un disagio notevole fisico e mentale, sorretto solo dall’amore della sua famiglia e dalla sua forte fede cattolica. Giorni, settimane difficili quelle trascorse nei peggiori penitenziari d’Italia dove contrariamente alle aspettative ha incontrato anche tanta solidarietà, la forza necessaria per continuare a lottare e a credere nella giustizia terrena e divina anche quando sei ridotto ad una larva e sei costretto a camminare su una sedia a rotelle. La relazione tecnica psichiatrica del dott. Rosario Persico riportata in allegato è agghiacciante, all’epoca dei fatti le condizioni di salute di Pietro Funaro erano alquanto preoccupanti, il detenuto innocente si presentava in condizioni estreme, dimagrito di oltre venti chili, con disordini motori e neurologici, per non parlare di un forte stato depressivo associato all’onta della detenzione che, se non tenuto sotto controllo poteva condurre all’ideazione suicidaria. 
Tuttora Pietro Funaro paga lo scotto di tanta sofferenza, la sua mente è ancora distrutta e risente di una terapia farmacologica peraltro inadeguata somministrata all’interno dei penitenziari. Un ricordo dell’autore va anche al compianto ed onesto funzionario dell’amministrazione regionale Felice Di Giovanni, coinvolto anche lui ingiustamente nello scandalo Tav. 
Nella disamina dei personaggi che hanno giocato un ruolo determinante all’interno della magistratura, pm a loro volta pedine di un sistema iniquo, spicca senza dubbio la figura di Paolo Mancuso, di recente si è parlato di lui a proposito dell’eventuale nomina a Procuratore di Napoli, candidatura ritirata proprio in extremis a causa di alcune richieste particolari del magistrato emerse da un’intercettazione. 
Il procuratore di Nola, notoriamente toga rossa, non è immune da chiacchiere e maldicenze. Le attività non sempre trasparenti di alcuni operatori della giustizia negli ultimi anni ha dato il la a particolari riflessioni sul potere attuale della magistratura e ha acceso il dibattito tra gli esperti in materia sulla responsabilità civile dei magistrati, più volte toccata di striscio ma mai affrontata del tutto. Una lacuna se vogliamo del nostro sistema giudiziario che non fa che accrescere il malcontento popolare e alimentare la convinzione che in Italia la magistratura viene vista e trattata come una casta intoccabile. 
Perché si chiede Funaro, se sbaglia un giudice il cittadino viene risarcito dallo Stato e non dal singolo soggetto? Purtroppo in Italia funziona così come in molti paesi europei, gli uditori giudiziari per difendere la loro indipendenza e imparzialità godono di immunità e non è possibile agire direttamente contro di loro. Considerata l’inadeguatezza della legge Vassalli, sono stati proposti in Parlamento diversi progetti di legge per introdurre modifiche procedurali ma “nonostante la buona volontà è sotto gli occhi di tutti che appena si affronta il tema, in Italia, si scatena il putiferio”. Gli intenti di Pietro Funaro con il suo “Mala Iustitia” sono chiari come ha ricordato nella bella ed intensa parte finale del testo: “… oggetto di questo libro-indagine, è la disfunzione dell’amministrazione della Giustizia che colpisce la comunità e che provoca sfiducia verso le istituzioni e genera un vero e proprio black out in quello che dovrebbe essere un sano rapporto Stato-cittadini. 
Quindi, con fermezza, possiamo dire che la malagiustizia è la causa dell’ingiustizia”. 
Un libro che apre spunto a profonde riflessioni sullo stato attuale del processo democratico del nostro paese minacciato da poteri forti, un monito per la politica che ha il diritto e il dovere di riconquistare il suo ruolo originario in difesa dei cittadini, perché non si senta più parlare di colpevoli d’innocenza. 
Ricordiamo che Pietro Funaro, giornalista napoletano, attualmente componente del Comitato regionale per la Comunicazione in Campania, vanta ben sei titoli accademici, è editorialista de Il Denaro e in passato ha ricoperto ruoli molto prestigiosi e di responsabilità sia in ambito nazionale che europeo. Tra le sue pubblicazioni, “Quaderni di impegno politico” e il recente “Mani sul terremoto. 
Campania anni Ottanta, l’altra faccia dell’emergenza” in cui ha riportato la sua esperienza nei terribili anni del post-sisma.

Francesca Festa 28/12/12 Corriere dell'Irpinia

domenica 6 ottobre 2013

PDL, FINITA L’EPOCA DEL LEADER UNICO


La settimana che ci lasciamo alle spalle ha registrato un evento politico importantissimo: il governo Letta ha ricevuto un ampio consenso sulla fiducia posta al voto delle Camere inglobando il sì del Pdl e dello stesso Berlusconi.
Non è una notizia da poco.
Dopo settimane e settimane di tira e molla sulla vita dell’esecutivo il Silvio nazionale è stato costretto, dal suo stesso partito, a capitolare di fronte alla presa di posizione forte che Angelino Alfano ha voluto, sostenuto da una buona parte dei senatori e deputati azzurri, di continuità del governo in carica.
E’ la prima volta che quelli che sembravano solo yes-man si sono dissociati dalle decisioni del leader maximo e questo apre nuovi scenari nell’intera compagine politica del Paese.
D’altra parte la storia ci insegna che ogni cosa, specie nell’ambito del pubblico potere, ha un suo inizio ed una sua fine, generalmente un periodo di un ventennio.
Imperatori, re, dittatori, presidenti prima esaltati ed osannati debbono poi fare passi indietro perché avanzano altri.
Guardare attraverso il video lo svolgersi delle votazioni al Senato e la breve dichiarazione di voto del Pdl espressa da Berlusconi faceva una certa impressione. Osservando il volto dell’expresidente del Consiglio vi si leggeva uno psicodramma forte e autentico.
Chissà quante domande affollavano la sua mente, di certo avrà pensato di essere circondato da traditori da lui elevati nei massimi scranni dello Stato.
Scomposte le successive dichiarazioni di Zanda del Pd che affondava ancor di più il coltello nella piaga, in verità, senza neanche un po’ di stile. Ma si sa, quando si cade il coro di quelli che fino a ieri ti blandivano, grida crucifige crucifige.
Va riconosciuto che Berlusconi sia sotto tiro di varie Procure, specie quelle più politicizzate, che hanno avuto l’obiettivo di eliminarlo dalla scena politica italiana e sembra, almeno in parte, di esserci riuscito. Ma va altrettanto detto che non si possono anteporre gli interessi personali a quelli di circa sessanta milioni di italiani.
L’attuale governo non sarà il massimo auspicato ma il suo crollo avrebbe certamente influito in modo negativo sulla già disastrata situazione economica del nostro Paese.
Quanto accaduto in questi giorni può segnare una svolta nella vita politica italiana: sarà un bene? Speriamo.
Auguriamoci che, sia pure lentamente, si torni a parlare ma soprattutto a fare gli interessi dei rappresentati e che il leaderismo sfrenato abbia fatto il suo tempo. Di certo questi ultimo vent’anni non sono stati brillanti.
Di sicuro non credo che Silvio se ne starà buono buono.